venerdì 30 novembre 2012

Racconto di Natale

Testo di Rosanna, II B

C'era una volta, in un paese lontano, una famiglia di contadini molto povera, composta da una mamma , un papà e due bambini di sette e cinque anni. Il Natale era quasi arrivato e fuori il freddo era pungente , tutta la prateria era ricoperta di una neve fitta e candida. Intorno si vedevano le case addobbate con luci e colori mentre la casa della famiglia povera era spenta e senza decorazioni . A causa della troppa neve, Samuel, il papà dei due bambini, non era riuscito ad andare in paese a vendere i suoi ortaggi ed in cuor suo si rattristava perché sapeva che senza soldi non avrebbe potuto neanche comprare l'albero da addobbare e far felici i suoi due bimbi. Una notte, mentre tutti dormivano, Samuel venne svegliato dalle grida di un uomo. Si alzò dal letto, indossò il pesante cappotto, prese un bastone ed uscì a vedere cosa fosse successo. Appena fuori vide nella neve una carrozza ribaltata e dentro di essa vi erano rimasti incastrati un uomo e sua moglie. Samuel accorse ad aiutarli e dopo averli liberati li condusse in casa sua. Accese il fuoco per far scaldare i due ospiti infreddoliti e con quel  poco che aveva nella dispensa preparò loro una zuppa calda. Il giorno successivo riparò la loro carrozza ed i due signori, pieni di gratitudine, poterono ripartire. Dopo qualche giorno a Samuel arrivò un pacco postale da parte dei due signori che aveva aiutato. Quando lo aprì vide che era pieno di denaro e sul pacco lesse che i due signori erano un conte ed una contessa. Colmo di gioia, Samuel corse a comprare tante cose buone da mangiare, dei regali per i suoi figli ed un meraviglioso albero pieno di luci e palline colorate. Così, il giorno di Natale, anche quella famiglia cosi povera poté festeggiare dignitosamente la nascita di Nostro Signore. 

lunedì 19 novembre 2012

Ulisse e Polifemo... dal punto di vista di Polifemo


TESTO 1
Di Alessio, II B

Quel giorno mi trovavo nei campi a pascolare il mio gregge. Era il tardo pomeriggio di una calda giornata estiva; mi trovavo su un prato verde ricco d’erba, a ridosso di una falesia che dava sul mare agitato e blu come il cielo. Una leggera brezza marina soffiava da occidente e rendeva più fresca la giornata. Come era mia abitudine, al tramonto radunai il mio gregge per tornare nella grotta. Lungo il cammino trovai un enorme albero di quercia abbattuto da un fulmine di Zeus, così decisi spezzarlo e di utilizzarlo per cuocere del cibo. Appena arrivato misi la legna a terra e chiusi la grotta con il macigno. Cominciai a mungere pecore e capre per bere il latte durante la cena. Quando accesi il fuoco vidi degli uomini e chiesi loro chi fossero. Uno di loro mi disse che erano Achei e mi chiese i doni degli ospiti. Ma io risposi che non mi importava niente degli Dei e dell’ospitalità. Volevo distruggere le loro navi così non sarebbero potuti scappare, perciò chiesi loro dove e avessero ormeggiate. Mi dissero che Poseidone, mio padre, con una tempesta distrusse la navi contro gli scogli. Allora io, infuriato, presi due uomini e li uccisi sbattendoli al suolo, sparpagliando il loro cervello ovunque; successivamente li mangiai e bevvi purissimo latte. Mi misi a dormire.
Il mattino seguente mangiai altri due uomini, portai a pascolare le pecore e le capre e chiusi con il macigno l’entrata, in modo che gli uomini non potessero uscire. Appena tornato divorai altri due compagni e l’uomo coraggioso mi offrì del buonissimo vino. Gli chiesi il nome. Mi disse di chiamarsi Nessuno e come dono d’ospitalità gli promisi che lo avrei mangiato per ultimo e andai a dormire. Nessuno era un uomo alto e abbastanza robusto, con capelli neri e faccia ovale. Era completamente sporco e indossava solo un vestito che copriva petto e ginocchia. Era leggermente scuro di carnagione.
Mentre dormivo sentii un forte dolore e bruciore al mio occhio e di colpo mi svegliai, presi il tronco, lo scaraventai lontano e chiamai aiuto dicendo che Nessuno mi uccideva. Allora gli altri ciclopi, che erano giunti in mio soccorso, dissero che se nessuno mi dava fastidio o mi uccideva, era certamente Zeus che  mi mandava dolori e loro non avrebbero potuto fare niente. Così se ne andarono. Allora feci uscire le pecore e le toccai per sentire se passavano gli uomini di Nessuno per ucciderli. Per ultimo sentii il mio ariete più grande e gli chiesi perché fosse ultimo poiché, di solito, era sempre il primo; poi capii che era triste per il mio occhio e lo feci passare. Nessuno e gli uomini erano spariti e non li trovai mai più.

Da Alessio

TESTO 2

Da Syria, II B

Quel giorno mi trovavo nei campi a pascolare il mio gregge. Era il tardo pomeriggio di una calda giornata estiva; mi trovavo su un prato verde ricco di erba, a ridosso di una falesia che dava sul mare agitato e blu come il cielo. Una leggera brezza marina soffiava da occidente e rendeva più fresca la giornata. Come era mia abitudine, al tramonto radunai il mio gregge per tornare nella grotta. Lungo il cammino trovai un enorme albero di quercia abbattuto da un fulmine di Zeus, così decisi di spezzarlo in più parti e di utilizzarlo quella sera per cuocere del cibo. 
Mi incamminai lungo il sentiero, dove c’erano arbusti e rami di ogni tipo, con la legna in mano mi diressi verso la mia spelonca. Buttai a terra la legna e feci entrare il gregge nei recinti. Lo guardai per poi mungerlo. Chiusi con il grosso macigno l’entrata della spelonca e nel silenzio percepii dei rumori; mi girai a guardare con il mio grande occhio, indispettito ed irritato mi resi conto che c’erano degli intrusi. Irritato e furibondo mi rivolsi a loro con impeto ed ira chiedendo chi fossero e da dove venissero e che cosa facessero nella mia dimora. Li guardai tutti e vidi che tremavano dalla paura, ma solo uno di loro ebbe l’ardire di rivolgermi la parola. Era un uomo basso, robusto e muscoloso, aveva il volto ricoperto da una fitta barba, ma gli occhi erano vispi ed astuti come quelli di una volpe che guarda e studia la sua preda. Indossava una veste corta. Il resto del corpo era ricoperto da salsedine che al chiaror del fuoco lo rendeva lucente. Al braccio portava un bracciale che lo distingueva dagli altri. Mi disse che venivano dal mare, che erano stati portati su quell’isola dalla corrente dei venti contro la loro volontà, ma per volere degli Dei e chiedevano ospitalità. Vedendomi irritato inveì contro di me dicendomi di portare rispetto agli Dei, e io, con ira e rabbia, gli feci notare di non aver alcuna intenzione di ascoltarlo e che addirittura gli Dei dovevano sottomettersi al mio volere in quanto ero molto più forte e potente di loro. “Ricordati, inoltre, che il tuo destino e quello dei tuoi compagni, è nelle mie mani”, e così feci. Presi due di loro, li alzali al cielo e li catapultai a terra spappolando loro il cervello; quindi li divorai. Scese la notte e dormii. Il mattino seguente per colazione sbranai, come un leone sbrana la sua preda, altri due compagni dell’uomo al quale avevo ripetutamente chiesto il nome. Questi mi rispose alla fine: “Nessuno!”. Lasciai uscire nuovamente il gregge per il pascolo giornaliero facendo attenzione a richiudere l’entrata della grotta in modo da lasciare gli intrusi all’interno. L’aria era fresca e cristallina, il gregge pascolò liberamente tutta la giornata; la sera, mi incamminai nuovamente verso il mio antro. Rimasi stupito perché gli stranieri mi offrirono un vino tanto gustoso che ne bevvi una gran quantità, tanto da farmi cadere in un profondissimo sonno. Prima di addormentarmi tra un sogghigno ed un altro, gli dissi che il mio dono sarebbe stato quello di divorarlo per ultimo, quindi caddi nel sonno. Nel torpore del sonno provai un infernale dolore nel mio unico occhio, gli era stato conficcato all’interno una punta gigantesca ed infuocata che presi con ambo le mani e la scaraventai lontano. Mi fluiva il sangue lungo il volto e per le mani; accecato cercavo di prendere gli aggressori a tentoni, e con grandissima voce richiamai gli altri ciclopi che accorsero chiedendomi cosa fosse mai successo. Con urla feroci dissi che Nessuno mi aveva accecato, loro, però, non capendo il mio problema, si allontanarono. Cercai nuovamente con le mani ma non riuscii a sentirli. Riaprii la spelonca. Toccai il mio gregge e sentii sotto le mani solo la folta lana. Mi resi conto, però, che il montone, che solitamente usciva per primo, quel giorno era invece l’ultimo a lasciare la grotta. Pensai che anche lui fosse triste per la mia situazione e accarezzandolo lo lasciai uscire. Di Nessuno e i suoi compagni più nessuna traccia.

Syria