sabato 4 dicembre 2010

Il Risorgimento combattuto... sotto le coperte!

Certamente il Risorgimento diede gloria ai nostri grandi patrioti e loro ne diedero all'Italia: Cavour, geniale stratega politico; Garibaldi, geniale stratega militare. E poi Vittorio Emanuele II (anche se preso per mano da Cavour) e Giuseppe Mazzini, quest'ultimo forse collocato immeritatamente nell'Olimpo dei grandi del nostro Risorgimento. Sta di fatto che volavano schioppettate e colpi di baionette, stragi e arresti, intrighi di palazzo e armistizi.
Ma il Risorgimento - pare strano - non si combatté solo così; si combatté - soprattutto si organizzò - sotto le lenzuola di sontuose camere da letto, in palazzi sfarzosi, tra nobili giovanotti aitanti e dame bellissime e spregiudicate. Una di queste era Virginia Oldoino, meglio conosciuta come Contessa di Castiglione, nonché cugina odiata di Cavour.  
Ma come andarono, in breve, le cose? Cavour era ossessionato dall'ordire trame per accaparrarsi potenti che appoggiassero la causa risorgimentale del Piemonte e le provava tutte. Sapeva di aver bisogno dell'aiuto di Napoleone III, imperatore di Francia, ma doveva accaparrarsene i favori. Ci provò in tanti modi: convinse Vittorio Emanule II a dare in sposa una sua figlia al nipote dell'Imperatore e trattò con quest'ultimo i famosi accordi di Plombiers. Ma come mai Napoleone III fu così accondiscendente? Certamente per motivi politici che non staimo qui a dire, ma anche a seguito di un piano, potremmo dire "a luci rosse", ordito dallo stesso Cavour: inviò la tanto odiata cugina, Virginia, in Francia, con un obiettivo ben preciso: infilarsi nel letto di Napoleone III, il quale da tempo non riceveva le attenzioni della moglie Eugenia, in dolce attesa. Virginia, donna bellissima e impavida, ci mise poco, ma proprio poco, ad entrare nelle grazie dell'Imperatore. Così, tra un appuntamento e l'altro sotto le coperte imperiali, gli sussurrava all'orecchio le ragioni del risorgimento piemontese e la "questione italiana". E come poteva il buon Napoleone III resistere? Così, tra i vari trattati e accordi di palazzo, si inseriva la procacità di Virginia Di Castiglione e anche a lei va riconosciuta una fetta di merito se, qualche tempo dopo, l'Italia si fece veramente.

Ma chi era in realtà questa donna? Prendiamo un breve ritratto che ne fa Mauro Chiabrando sul Corriere della Sera:

"Virginia non amò altri che se stessa, motivo per cui il figlio Giorgio, morto di vaiolo a Madrid nel 1879, la detestava cordialmente. Dagli uomini sapeva farsi adorare quanto odiare dalle donne, prima tra tutte la spagnola Eugenia Montijno, consorte di Napoleone. Dalla amata Spezia, appena sposata si trasferì a Torino alla corte di Vittorio Emanuele di Savoia e quindi a Parigi. Dopo un esordio memorabile alle Tuileries, alla sfolgorante ventenne bastò mezz’ora d’amore con l’Imperatore cinquantenne nella stanza azzurra del Castello di Compiègne per riuscire nella “delicata” missione di Stato che le era stata affidata. Era il gennaio del 1856. Napoleone la coprì di gioielli, tra cui una collana a cinque giri di perle e si favoleggiava di un appannaggio mensile di 50mila franchi".
E ancora, a proposito della sua "collezione" di amanti:

43 AMANTI E IL VOLTO VELATO - Caduto il Secondo Impero nel 1870, con abilità e scaltrezza continuò a tessere, tra Parigi e La Spezia, la rete delle sue amicizie influenti collezionando 43 amanti, 12 dei quali avuti contemporaneamente e sempre all’insaputa l’uno dell’altro. La venere incontrastata del bel mondo che aveva incantato per le toilette da favola, i gioielli, tra i fasti e i piaceri della mondanità, ebbe il solo grave torto di sopravvivere alla sua bellezza. Trascorse l’autunno della vita sola, nel terrore dell’indigenza, sopraffatta da cupa nevrastenia e senso di persecuzione. Dei ricordi ormai non sapeva che farsene: per non vedere la sua decadenza fisica si velava il volto, copriva gli specchi, usciva solo la notte, circondandosi di un’aura patetica di mistero. Ancora ricca, ma in crisi di liquidità, nel 1893 subì l’onta dello sfratto dal suo ammezzato di Place Vendôme occupato dal 1876.
Morì a Parigi il 28 novembre 1899 in un piccolo alloggio sopra il ristorante Voisin.  All’indomani del suo funerale, la polizia e Carlo Sforza per l’ambasciata italiana distrussero tutte le lettere e i documenti compromettenti riguardanti re, politici, papi e banchieri, da Napoleone III a Bismarck, Cavour, Pio IX, Rothschild. Ci restano i suoi diari. Avrebbe voluto tornare in Italia e farsi seppellire alla Spezia con i suoi gioielli (andarono invece a sconosciuti eredi con una fortuna stimata in due milioni di lire del tempo), la camicia da notte verde acqua di Compiègne e i suoi due pechinesi, Sanduga e Kasino, imbalsamati. Riposa invece, tra i grandi, al Père Lachaise.



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